lunedì 31 maggio 2010

PUNTO DI NON RITORNO

Quando nei giorni scorsi leggevo della partenza dalla Turchia di un convoglio di navi cariche di 600 attivisti da oltre quaranta paesi del mondo, determinati a forzare il blocco navale messo in atto dalla marina militare israeliana e a portare aiuti umanitari alla stremata popolazione di Gaza, pensavo che l’eventuale attuazione della minaccia da parte di Tel Aviv di bloccare con la forza la piccola, pacifica flotta si sarebbe rivelato un autentico suicidio politico per Israele e il potenziale detonatore di un conflitto in Medio Oriente dalle conseguenze imprevedibili. Le cose sono andate molto peggio di quanto mi aspettassi: al momento in cui scrivo, una ventina di morti (almeno nove turchi) e una trentina di feriti sono il risultato di un assalto condotto con forze speciali a bordo di elicotteri e l’appoggio di navi militari, il tutto (pare) in acque internazionali. La mia impressione è che questa scellerata mossa sia frutto del forte nervosismo di Israele, messo in difficoltà prima dai recenti accordi fra Iran, Brasile e Turchia per lo scambio di uranio, e poi dal recentissimo e per certi versi inatteso appoggio dato dall’amministrazione statunitense al Trattato di Non-Proliferazione Nucleare dell’ONU, il cui scopo è eliminare la presenza di armi nucleari in Medio Oriente. Si ritiene che Israele sia attualmente l’unica potenza nucleare non dichiarata di quell’area, e che possieda almeno 200 testate atomiche di varia potenza. È noto come quest’ultimo non ammetta né smentisca l’esistenza di queste armi e di un programma nucleare che invece prosegue da decenni, come svelato dall’ingegnere nucleare israeliano Mordechai Vanunu le cui tristi vicende sarebbe troppo lungo riassumere in questa sede ma che sta per tornare per l’ennesima volta in carcere dopo avervi passato diciotto anni della propria esistenza. Il colpo di grazia alle ambiguità israeliane è giunto con la divulgazione di documenti segreti sudafricani che rivelano come Israele nel 1975 abbia offerto di vendere testate nucleari al regime dell’apartheid (addirittura con l’opzione di tre “taglie” diverse…), il che fornisce la prima prova ufficiale documentata della loro esistenza.

Se a questo scenario vogliamo aggiungere che Israele sta spostando tre dei suoi sommergibili con capacità nucleari nel golfo Persico, a ridosso dell’Iran, il quadro della situazione attuale è agghiacciante, perché di converso anche il disastro in corso nell’altro Golfo, quello del Messico, sta assumendo dimensioni a dir poco apocalittiche. Pur con tutti i dubbi e le riserve su un recente articolo diffuso in rete che citava un rapporto compilato da scienziati russi e presentato a Putin in persona, i termini della questione rimangono: la quantità di petrolio che fuoriesce dalla falla è abnorme, al punto che più che di falla si potrebbe ormai parlare di un piccolo vulcano di petrolio sottomarino; qualcuno, ricordando come il disastro della Exxon Valdez era finora considerato il peggiore della storia, fa notare come nell’area fuoriesce una quantità di petrolio pari a quella della superpetroliera affondata in Alaska ogni quattro giorni; l’enorme quantitativo di un solvente estremamente tossico, il Corexit 9527, utilizzato dalla BP (si parla di almeno 800.000 galloni, ma ritengo sia una stima per difetto), sta “sciogliendo” le chiazze di petrolio in superficie creando nel contempo enormi “nuvole” di idrocarburi e solventi in sospensione sotto il mare per decine di metri, distruggendo letteralmente tutto ciò che vive là sotto:


I solventi e gli aromatici degli idrocarburi, estremamente volatili, sono destinati a entrare nel ciclo meteorologico delle precipitazioni piovose che interesseranno il continente americano, con conseguenze inimmaginabili per gli esseri umani, gli animali, le piante, la catena alimentare, le falde idriche… in Florida già si segnalano piogge contenenti petrolio, e si sta avvicinando la stagione degli uragani. E volete sapere cosa ha dichiarato uno degli esperti petroliferi della BP che stanno cercando senza alcun successo di tappare la falla? Secondo lui, “la cosa migliore da fare” sarebbe inserire una piccola bomba nucleare nel pozzo in questione e farla detonare per sigillarlo!

E intanto, come documentato da questa foto diffusa dalla NASA, il petrolio sta entrando nel ciclo della Corrente del Golfo e quindi si farà un bel giro nell’Atlantico…


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